La stecca prealpina - Giorno n.23
Che cosa sarà mai quella piccola collina posta sull’immensa pianura a sud delle piccole montagne di Farra di Soligo. Chissà quante persone se lo sono chiesto in così tanti secoli a guardar l’unico promontorio che sorge isolato e panciuto nel Quartier del Piave, così basso che riesce a malapena a coprire un paio di case con la sua ombra al tramonto. In secoli di interrogativi tra gli abitanti, non poteva mancare la leggenda, e hanno mirato proprio in alto se sono riusciti a scomodare pure Attila. Si, perché questo poggio si chiama Col de Attila e la gobba che vediamo è la tomba del feroce invasore, sepolto insieme ai suoi immensi tesori. Il fatto che questa leggenda sia giunta fino a noi, ci fa supporre che possa esistere in qualche modo un fondamento in tutto ciò. È noto che Attila, ultimo re di questo popolo, giunse in Italia nel 452 d.C. entrando da Trieste e compiendo immani distruzioni sulle città che incontrava. Aquileia e poi Padova furono saccheggiate insieme ad altre città e la popolazione fu uccisa senza pietà mentre cercava di scappare. Anche Oderzo avrebbe subito la stessa sorte e non è escluso quindi che si fosse spinto anche nella pedemontana trevigiana dove, guarda caso, anche in altri paesi lo si ricorda. Nella vicina Arfanta, ad esempio, vive un'altra leggenda che parla di una statuetta d’oro nascosta nel Bus della Regina Todòsia per salvarla dalle invasioni degli Unni. A Revine, “Atilaz” è noto per le sue devastazioni. Gli Unni erano particolarmente avidi di oggetti d’oro e ciò può aver alimentato questa leggenda che vede la nostra piccola collina trevigiana custode di un enorme tesoro. Volete provare a scavare? Non fatelo, perché lo hanno già fatto alcuni anni fa per cercare di capire le origini geologiche. Nessuna moneta d’oro, ma tanti sassi!
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