La stecca prealpina - Giorno n.8
Oggi è San Giuseppe, festa del papà e…….dei Bepi! Di tutti i “Bepi” che ho incontrato nel mio lungo girovagare tra i monti, ve ne è uno del tutto particolare, Bepi Puricelli. A lui dedico questo ottavo giorno di passione per Coronavirus! Bepi Puricelli è lo storico gestore del Bar Sella, che noi tutti conosciamo perché per decenni fu tappa obbligata nei transiti del Fadalto quando non c’era l’autostrada. Ma lo è ancora oggi per gli affezionati, come me, per mangiare il mitico panino con la coppa. Che cos’ha di particolare Bepi? È uno degli ultimi testimoni, se non l’ultimo, che può raccontarci di aver effettuato una “cotta” in una calchèra di prima generazione. Le calchère erano una sorta di igloo di pietra che servivano a produrre la calce mediante cottura della roccia di calcare. L’area dei Sassói nei pressi del Fadalto è una delle più favorevoli delle Prealpi e qui Bepi era solito lavorare fin da ragazzino. Riporto qualche annotazione da una sua intervista: «Quand’ero giovanissimo lavoravo per la Cooperativa Santa Croce in riva all’omonimo lago. Partecipai alla costruzione della centrale elettrica SADE a Soverzene, più tardi arrivai in Calabria, poi in Sardegna in altri cantieri, fui impiegato anche come meccanico alla Sicca di Vittorio Veneto per costruire porte a soffietto degli autobus, ma non faceva per me, la mia vita era lassù in Fadalto dove decisi di aprire il bar Sella dove tuttora vivo». Attorno al suo locale, erano fiorenti le attività di produzione della calce perché la roccia di calcare era di ottima qualità. Bepi ricorda perfettamente come si svolgeva il ciclo produttivo. «La nostra calchèra misurava quattro metri e mezzo di diametro ed aveva uno spessore di 70 cm. Si trova tuttora sulla strada che scende dall’ex Osteria Da Angelo che fu poi il panificio Talamini “Bastian”. La cottura delle pietre durava dagli 8 ai 10 giorni. Si caricava la calchèra a mano con i blocchi selezionati di roccia, quindi si innescava la cottura alimentandola con fasci di legna di abete e carpino. Poi si lasciava raffreddare, processo che durava anche 20 giorni. La calce viva veniva estratta dal portello anteriore, la “bochéta”, e caricata con il badile sui carri di vecchi Fiat a benzina, che poi scendevano giù a Vittorio Veneto per la rivendita sul mercato». Dalle calchère antiche si passò più tardi alle fornaci. Sul Fadalto fino a metà del secolo scorso ve ne erano diverse e due sono ancora visibili, la fornace Balbinot e la fornace Casagrande “Ton”. Oggi questi fabbricati hanno terminato la loro attività lasciando spazio ai moderni impianti industriali e le torri svettano sulla valle come monumenti di archeologia industriale.
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