La stecca prealpina - Giorno n.36
Tempi di quarantena da terzo millennio, certamente, ma l’invito a fermarsi non è sempre stato dettato dal dilagare della peste, del colera o, come oggi, a causa di un maledetto virus. Vi è una singolarità che campeggia da secoli nel portico di una antichissima chiesa dalle parti di San Pietro di Feletto. Si tratta del Cristo della Domenica. Di che cosa si tratta? Perché questa strana rappresentazione di Gesù martoriato da alcuni attrezzi di lavoro? Il modello iconografico del Cristo della Domenica si diffonde tra il Trecento e il Cinquecento in Europa come chiaro messaggio rivolto ad un popolo che a quell’epoca era in gran parte analfabeta: di domenica non si lavora. Un monito molto diretto e inequivocabile, se lavori il giorno di festa non puoi andare in Paradiso perché anche Dio riposò il settimo giorno. In altri termini, se vai a messa ti salvi, altrimenti si apriranno le porte dell’inferno. Gli attrezzi da lavoro creano una seconda crocifissione a Gesù. Un’ottima strategia di marketing per fidelizzare la clientela, si direbbe oggi. Funzionò benissimo per secoli, fino al Concilio di Trento che, imponendo una rigida disciplina nell’uso delle immagini sacre, ne ordinò la distruzione un po' dappertutto. Si salvarono soltanto pochissime opere, grazie all’inosservanza di alcuni parroci che si opposero allo smantellamento. In Italia è rarissimo il Cristo della Domenica. Quello di San Pietro di Feletto è l’unico caso in provincia di Treviso e pare essere stato portato dai pellegrini tedeschi che videro in quel terrazzo sopra le colline del Feletto il luogo perfetto per mostrare ai contadini il cartello di divieto medievale. Pinze, tenaglie, scalpelli, zappe che procurano ferite e fanno zampillare il sangue del Salvatore, andate ad ammirare questo capolavoro tra le vigne.
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