Le antiche calchere, esempio di ingegnosità edilizia
Mi hanno sempre affascinato le calchere, ce ne sono molte sulle nostre Prealpi e anche altrove. Chissà come avranno fatto a scoprire che, cucinando i sassi, ne usciva la preziosa calce per produrre la malta. Fatto sta che ci sono riusciti. Ne ho già parlato, anni fa, delle famose calchere del Fadalto. In queste settimane le ho incontrate anche nel bellunese, dove sono un po' diverse come forma e dimensioni. A tino, anziché a cupola. Questa che vedete è la storica calchera della Val de Fornas, si incontra lungo un sentiero nei pressi di Zelant di Borgo Valbelluna. Intelligentemente restaurata. Venivano immessi fasci di legna di abete, carpino o faggio che bruciavano portando la camera interna ad una temperatura di oltre 800°C, necessaria ad innescare il processo chimico che trasforma il calcare in calce viva. I sassi , raccolti con fatica sui greti circostanti, erano disposti all’interno del forno incastrandoli in sospensione con una tecnica tramandata di padre in figlio e il processo di cottura durava ininterrottamente per tre notti. Al termine si lasciava raffreddare il composto, quindi si estraeva la calce viva che risultava di un bel colore bianco candido, segno della buona riuscita dell’operazione. La calce viva veniva immessa sul mercato, successivamente diventava calce spenta immergendola nell’acqua nei pressi dei cantieri dove era impiegata come legante della malta, ma era utilizzata anche per imbiancare le pareti, per disinfettare le stalle, nei terreni poveri di calcio e nei vigneti come antiparassitario sotto forma di “poltiglia bordolese” (il verderame), ottenuta aggiungendo sostanze a base di rame.
Archeologia spartana. Da non dimenticare.