Le mura abbandonate parlano
Sono anni che percorro i sentieri di montagna e, quando incontro una casa o una casera disabitata, immagino la vita che ci è passata.
Ieri, lungo il Cammino Unesco, ne ho rivista una, per l’ennesima volta, un fabbricato molto grande accanto alla vecchia mulattiera che da Nogarolo conduce al Monte Baldo, quello che gli anziani chiamano Pedof.
Un cartello dice semplicemente “Case (443)”, intendendo qualcuno, qualcosa, alla tal quota.
Non ci avevo mai fatto caso, se non per la parte esterna. Ma oggi ho voluto sbirciare dentro una finestra approfittando dei vetri rotti.
Tutto si è fermato.
Ho visto una stanza con un pregevole decoro alle pareti, segno che era una casa di una certa qualità.
La cucina, con il frigo ribaltato in mezzo al pavimento, aveva il lavello di una volta, dei nonni per intenderci, con qualche bicchiere e un po' di piatti accatastati.
Una porta con il vetro traslucido, a rombi, mi ha fatto ricordare le ombre dei parenti quando si avvicinano prima di bussare, la domenica pomeriggio.
Quella maniglia, quel battere dell’anta che si accompagnava al saluto della nonna.
Una finestra rotta, con un lembo di tenda sgualcito dal tempo, ricorda chissà quante chiacchiere attorno al tavolo, tra fumosi racconti e sonore alzate di gomito.
E poi, dietro, la scala in legno che conduce al soppalco, mezzo in piedi, il resto crollato.
Più a est, la stalla, con la “cripia” per le mucche, ancora intera e la gabbia dei conigli con la rete che mi ha fatto tornare bambino, pensando quando passavo un ciuffo d’erba verso quei simpatici musetti.
La cantina con le botti che sapranno ancora di tanfo di clinto.
Alcuni attrezzi buttati là, tante “scarpie” sugli angoli e rottami che parlano di vecchi arnesi che passerebbero ai musei.
Intorno alla casa la canna di bambù e l’edera rampicante si sono ormai impadronite delle pareti.
Questi particolari mi hanno colpito, ieri.
Quante storie, quante risate e quanti stenti avranno da raccontare queste mura, mentre ci passiamo davanti senza pensarci.
Dove saranno andati quei veci? Forse a Vittorio, forse a Treviso, o nelle Americhe. Chissà.
Ho ripreso il cammino, ripensando al tempo che ci travolge, un fiume inarrestabile.